Breve Storia Della Fotografia.

Visto che è diventata un mio grande interesse, mi è sembrato naturale curiosare sulla storia della fotografia.
Dalle sue origini.
Il termine “fotografia”, deriva dal greco ed il suo significato, essenzialmente, è “disegnare con la luce”.

E’ da tempi lontani che l’uomo ha intuito che grazie alla luce, e la sua azione, sarebbe stato possibile riprodurre, in qualche modo, le immagini.

Fu a partire dal IX secolo a.C. che si prese coscienza della necessità di studiare il fenomeno per cui, preso uno spazio totalmente chiuso, come da esempio una stanza, con un unico foro, chiamato foro stenopeico (dal greco stenos opaios, stretto foro), attraverso il quale potesse penetrare la luce, qualsiasi oggetto posto di fronte al foro, all’esterno della stanza, venisse proiettato, capovolto, sulla parete interna posta di fronte al buco.

Fu l’arabo Alhazen, il primo a fare studi sistematici sul fenomeno.

Successivamente, nel IV secolo a.C., Aristotele fece dettagliati studi a tal riguardo. Aristotele fu tra i primi a constatare che a minor diametro del foro nello spazio chiuso, maggiore risultava la nitidezza dell’immagine proiettata.

I primi approcci con quella che poi avrebbe preso il nome di camera oscura, non avevano scopi artistici ma scientifici, per lo studio dei fenomeni ottici.

Il primo ad utilizzare la camera oscura per scopi artistici fu Leonardo da Vinci. Leonardo migliorò la camera oscura, ponendo di fronte al foro stenopeico una lente, migliorando la nitidezza dell’oggetto proiettato, in modo da poter operare con una riproduzione pittorica fedelissima all’immagine reale.

L’invenzione formale della camera oscura è attribuita a Gian Battista Della Porta, che nel suo “Magiae Naturalis Libri XX”, del 1588, descrisse nel dettaglio la camera oscura, prima senza lente e poi con lente piano-convessa.

Nel 1646, fu Athanasius Kircher che, nel suo trattato Ars Magna, descrisse una camera oscura portatile.
La camera aveva le dimensione di una piccola capanna, smontabile e che due uomini potevano trasportare.
L’artista entrava attraverso una piccola botola sul pavimento, all’interno una scatola di carta sufficientemente trasparente permetteva di disegnare l’immagine capovolta.

Nel 1685, il tedesco Johann Zahn perfezionò la camera oscura, teorizzata da Della Porta, costruendo un dispositivo reflex, in grado di essere puntato verso il soggetto da rappresentare e, tramite uno specchio, di riflettere l’immagine su un piano di vetro, per una facile riproduzione.

Il dispositivo era dotato di due obiettivi, in grado di rappresentare, nel modo migliore possibile, l’immagine da riprodurre

Era stato creato il primo strumento in grado di inquadrare un soggetto da riprodurre.

Per avere la macchina fotografica, mancava “solamente” un sistema per fissare su un supporto le immagini, senza la necessità che l’artista la disegnasse a mano.

Già alla fine del Medioevo, con la nascente arte alchemica, si era visto che alcune sostanze chimiche, come ad esempio il cloruro di sodio (o sale da cucina) riscaldato, insieme con l’argento (che generano il cloruro d’argento), risultavano avere un certo colore al buio ed un altro se esposti alla luce del sole.

Il cloruro d’argento è bianco al buio e diventa viola scuro (quasi nero) alla luce del sole.

Sfruttando la particolarità di questi composti, si era iniziato ad intuire che proiettando le immagini su un foglio sul quale era stato depositato del cloruro d’argento la reazione dell’esposizione sarebbe stata differente in relazione alla luminosità irradiata su ogni singolo punto del foglio.

Servì di aspettare sino al XVII secolo perché, i chimici, primo tra questi Thomas Wedgwood, riuscissero ad ottenere su un supporto bianco emulsionato, ossia cosparso di sostanze in grado di reagire alla luce, un debole immagine.

Restava un problema di soluzione non semplice: come fissare l’immagine sul foglio. Infatti esponendo il foglio alla luce, questo diventava totalmente nero!

Nel 1814, Joseph Nicéphore Niepce, si dedicava al perfezionamento delle tecniche litografiche, pensando di riuscire a stampare con la luce.

Niece utilizzò una lastra metallica cosparsa di bitume di guinea (sostanza usata utilizzata nell’ambito dell’incisione), ponendola in una camera oscura di fronte all’immagine riflessa. ò’immagine veniva quindi riflessa sulla lastra emulsionata.

Dopo molte ore di esposizione, le parti della lastra investite sa più luce, ossia quelle più chiare dell’immagine proiettata, diventavano più chiare, mentre le altre restavano inalterate.

 La lastra, veniva quindi veniva trattata con un lavaggio in essenza di lavanda che faceva sciogliere il bitume inalterato e non sciogliere quello colpito, dalla luce ed indurito.

Dopo la lastra veniva immersa nell’acido che aggrediva solo il metallo senza bitume. Un successivo lavaggio in essenza di lavanda rimuoveva anche il resto del bitume, lasciando il metallo rappresentante l’immagine impressa sulla lastra.

La lastra veniva quindi cosparsa di inchiostro per procedere con la stampa: era stata inventata l’eliografia.

E’ evidente che potesse essere stampata anche un’immagine complessa e non un semplice testo. Era stato compiuto il primo passo verso la stampa fotografica.

 A distanza di pochi anni fu Louis Jacques Mandé Daguerre nel 1839 a definire formalmente il primo processo di sviluppo fotografico. Daguerre, utilizzò una lastra di rame con applicato, elettrostaticamente, un strato d’argento, sensibilizzato alla luce con vapori d’argento. La lastra, entro un’ora dalla sua sensibilizzazione, veniva esposta alla luce all’interno della camera oscura, per un periodo di 15/20 minuti. Lo sviluppo avveniva esponendo la lastra a vapori di mercurio a circa 60°C. L’azione dei vapori di mercurio rendeva biancastre le zone esposte alla luce. Il fissaggio conclusivo avveniva tramite il trisolfato di sodio che elimina i residui dello ioduro d’argento.

L’immagine ottenuta, chiamata dagherrotipo, non è riproducibile e può essere osservata solo da un determinato angolo di visione per riflettere la luce nel modo opportuno.

L’apparecchio fotografico per la l’impressione dei dagherrotipi era costituita da 2 scatole di legno che scorrono l’una dentro l’altra per consentire il corretto afflusso della luce in relazione alla distanza con l’oggetto da impressionare puntato dal foro stenopeico all’estremità del quale era applicata la lente piano-convessa. Il contenitore della lente col foro stenopeico può essere chiamato obiettivo e l’operazione di regolazione della distanza tra l’obiettivo ed il piano di impressione è la messa a fuoco.

Nel 1840 il matematico ungherese Josef Petzval realizza il primo obiettivo calcolato matematicamente: quattro lenti che garantivano una elevata luminosità ed il conseguente abbattimento dei tempi di esposizione.

Nel 1847 il nipote di Niépce, Abel Niépce de Saint-Victor, produce i primi negativi su vetro. Viene utilizzata un’emulsione all’albumina (bianco d’uovo) e alogenuro d’argento. Il tempo di esposizione è di 10 minuti.
Nel 1851, Frederick Scott Archer propone la tecnica del collodio umido e l’ambrotipo, essenzialmente un negativo su vetro, che spiana la strada alla stampa di fotografie su carta in alta qualità. In America, quasi contemporaneamente, si diffuse ben presto una variante del processo, chiamata ferrotipo, ideata dal professor Hamilton Smith, finalizzata alla realizzazione di immagini su lastre, anziché vetro,di metallo, tipicamente ferro, latta o alluminio (da cui il nome inglese tintype).

Nel 1888, la fotografia vive la sua svolta fondamentale ad opera dell’americano George Eastman, che fonda la Kodak.
La Kodak, il cui nome, come dice lo stesso Eastman, non significa nulla ma è solo un nome breve ed incisivo, produce la prima macchina fotografica destinata a tutti: la Kodak Box.

La Kodak Box aveva una pellicola flessibile molto sensibile che consentiva portabilità e che fu determinante per la diffusione su larga scala.

Da quel momento, per gli anni successivi, gli studi sul miglioramento degli obiettivi fotografici e sulle pellicole fotosensibili fece passi enormi sino a raggiungere risultati inimmaginabili.

I primi anni del ‘900 vedono la nascita delle grandi aziende costruttrici di macchine fotografiche: Nikon, Olympus e Pentax. Ancora oggi riferimenti del settore.

E’ a partire dal 1950 che le la tecnologia è abbastanza matura per ottenere macchine fotografiche complesse in grado di offrire scatti di altissima qualità. Nascono le Reflex Nikon con obiettivi intercambiabili, in grado di modulare e regolare agevolmente la quantità di luce che investiva la pellicola. Le Pellicola diventano sempre più sensibili ed in grado di catturare sempre più dettagli delle immagini.

I costi di questi dispositivi ed i costi della stampa non rendevano la fotografia accessibile a tutti ma inizia a consentirle di rappresentare non solo un fenomeno di documentazione informativa ma di vera e propria arte della rappresentazione.

Oggi le macchine fotografiche sono riuscite a sostituire l’elemento sensibile rappresentato dalla pellicola con sei sensori elettronici in grado di archiviare l’immagine su di essi impressionata, in una memoria digitale (fotocamere digitali).

La fotografia supera la necessità della stampa ed il costo dei dispositivi è diventato talmente accessibile da diffondersi in maniera esponenziale.