Il fuoco dell’eredità: introduzione al Canto XV dell’Inferno
Il Canto XV dell’Inferno è uno dei momenti più intensi e personali dell’intera Commedia. Dante, guidato da Virgilio lungo il sabbione infuocato del terzo girone del VII cerchio, incontra Brunetto Latini, suo maestro, intellettuale e figura politica di spicco del Duecento fiorentino. Il canto appartiene al gruppo dei “violenti contro natura”, ma la condanna teologica non cancella la profonda stima affettiva che Dante prova per Brunetto: il tono è rispettoso, quasi filiale, e il dialogo si trasforma in un testamento morale.
Il contesto storico è quello della Firenze comunale, lacerata da lotte politiche, invidie e rivalità tra fazioni. Brunetto, esule e poi morto lontano dalla città, incarna la fragilità dell’intellettuale in un mondo dominato da violenza e instabilità. Il canto è anche un monito politico: Dante denuncia l’ingratitudine del “popolo maligno” fiorentino e rivendica la propria missione guidata dalla “stella”, simbolo del destino poetico e civile.
Inferno, Canto XV (Testo Originale)
Ora cen porta l’un de’ duri margini;
e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo ’l fiotto che ’nver lor s’avventa,
fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;
e quali Padoan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli,
anzi che Carentana il caldo senta:
a tale imagine eran fatti quelli,
tutto che né sì alti né sì grossi,
qual che si fosse, lo maestro felli.
Già eravam da la selva rimossi
tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era,
perch’io in dietro rivolto mi fossi,
quando incontrammo d’anime una schiera
che venìan lungo l’argine, e ciascuna
ci riguardava come suol da sera
guardare uno altro sotto nuova luna;
e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
come ’l vecchio sartor fa ne la cruna.
Così adocchiato da cotal famiglia,
fui conosciuto da un, che mi prese
per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
E io, quando ’l suo braccio a me distese,
ficcai li occhi per lo cotto aspetto,
sì che ’l viso abbrusciato non difese
la conoscenza sua al mio ’ntelletto;
e chinando la mano a la sua faccia,
rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco;
e se volete che con voi m’asseggia,
faròl, se piace a costui che vo seco».
«O figliuol», disse, «qual di questa greggia
s’arresta punto, giace poi cent’anni
sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia.
Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;
e poi rigiugnerò la mia masnada,
che va piangendo i suoi etterni danni».
I’ non osava scender de la strada
per andar par di lui; ma ’l capo chino
tenea com’uom che reverente vada.
El cominciò: «Qual fortuna o destino
anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?
e chi è questi che mostra ’l cammino?».
«Là sù di sopra, in la vita serena»,
rispuos’io lui, «mi smarri’ in una valle,
avanti che l’età mia fosse piena.
Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m’apparve, tornand’io in quella,
e reducemi a ca per questo calle».
Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorioso porto,
se ben m’accorsi ne la vita bella;
e s’io non fossi sì per tempo morto,
veggendo il cielo a te così benigno,
dato t’avrei a l’opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si farà, per tuo ben far, nimico:
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gent’è avara, invidiosa e superba:
dai lor costumi fa che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l’una parte e l’altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s’alcuna surge ancora in lor letame,
in cui riviva la sementa santa
di que’ Roman che vi rimaser quando
fu fatto il nido di malizia tanta».
«Se fosse tutto pieno il mio dimando»,
rispuos’io lui, «voi non sareste ancora
de l’umana natura posto in bando;
ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna:
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo
convien che ne la mia lingua si scerna.
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
a donna che saprà, s’a lei arrivo.
Tanto vogl’io che vi sia manifesto,
pur che mia coscienza non mi garra,
che a la Fortuna, come vuol, son presto.
Non è nuova a li orecchi miei tal arra:
però giri Fortuna la sua rota
come le piace, e ’l villan la sua marra».
Lo mio maestro allora in su la gota
destra si volse in dietro, e riguardommi;
poi disse: «Bene ascolta chi la nota».
Né per tanto di men parlando vommi
con ser Brunetto, e dimando chi sono
li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono;
de li altri fia laudabile tacerci,
ché ’l tempo sarìa corto a tanto suono.
In somma sappi che tutti fur cherci
e litterati grandi e di gran fama,
d’un peccato medesmo al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,
e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
s’avessi avuto di tal tigna brama,
colui potei che dal servo de’ servi
fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
where lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
più lungo esser non può, però ch’i’ veggio
là surger nuovo fummo del sabbione.
Gente vien con la quale esser non deggio.
Sieti raccomandato il mio Tesoro
nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde.
“Fuoco & Fortuna”: stile e contenuti della versione trap
La mia versione trap, Fuoco & Fortuna, reinterpreta il Canto XV con un linguaggio urbano, diretto, emotivo, mantenendo però la struttura narrativa dell’incontro con Brunetto. Il beat alterna momenti dark e rallentati — che evocano il paesaggio infernale — a esplosioni ritmiche nel ritornello, dove emergono i temi centrali: destino, gloria, invidia, sopravvivenza.
Dal punto di vista stilistico:
- Flow cadenzato e storytelling nella prima strofa, per ricreare l’ingresso nel girone e l’apparizione di Brunetto.
- Ritornello aggressivo, quasi un manifesto identitario, che trasforma la profezia di Brunetto in un grido di autodeterminazione.
- Seconda strofa riflessiva, dove la voce del maestro diventa un’eco che attraversa i secoli, mescolando citazioni dantesche a riferimenti critici moderni.
- Bridge cupo, che elenca i dannati illustri e chiude con l’immagine potente della corsa di Brunetto, trasformata in un gesto di vittoria.
La canzone mantiene la solennità del rapporto maestro-discepolo, ma la traduce in un codice emotivo contemporaneo: rispetto, memoria, destino, resilienza.
Fuoco & Fortuna (Trap Version)
Yo, fratè… (cen porta l’un de’ duri margini)
Brò, è fumo che copre,
acqua che salva, fuoco che brucia — (eh già).
Come i Fiamminghi alzano muri contro il mare,
noi, su ’sti argini, proviamo a non cascare.
Vedo le anime — frà, come in fila —
occhi puntati, spilli nella cruna, zio.
Uno mi blocca, “Qual maraviglia!”,
viso bruciato, ma l’ho riconosciuto:
era Brunetto, ser maestro dannato,
latino infuocato, passato marchiato.
(Mi prese per il lembo)
— oh, non scappare, figliolo, resta un poco a parlare.
Fuoco & Fortuna, fratè, la mia stella brilla,
anche se Firenze mi gira la schiena (merda!).
Fuoco & Fortuna, brò, non si spegne la fiamma,
anche se il popolo mi odia, l’invidia li chiama.
(Fiesole avara, invidiosa, superba).
Yo, io seguo la rota, non temo la marra,
Fuoco & Fortuna, la mia barra è chiara.
“Se tu segui la stella, non puoi fallire”,
me lo dice il maestro, pure se in cenere deve sparire.
Latino, fratellaccio, tu sei ancora guida,
anche in sto inferno la tua voce m’arriva.
Ricordo la lezione —
(come l’uom s’etterna)
e mentre mi parli, mi sembra che torna
l’eco di Sapegno che spiega ogni parola,
o Barbi che chiosa: “la gloria consola”.
(Yeah, lo scrivo tutto, lo porto alla donna).
Fuoco & Fortuna, fratè, la mia stella brilla,
(anche se il cielo mi mette alla prova).
Fuoco & Fortuna, brò, la coscienza scintilla,
(io pronto a girare la rota di Giove).
Popolo ingrato che ti sputa addosso,
ma resta la pianta nel letame mosso.
Fuoco & Fortuna, fratellaccio dannato,
anche all’inferno rispetto ti ho dato.
Vedo le anime, cherci, litterati,
grandi di fama, ma qui sfregiati.
Priscian, Francesco d’Accorso, yeah,
tutti a piangere i danni eterni, frà.
(Mi raccomando il mio Tesoro).
E poi si volta, come chi corre a Verona,
ma lui — vince, non perde.
Fuoco & Fortuna, fratè, porto addosso la croce,
scrivo il mio corso, rispetto la voce.
Dura tre minuti, ma resta un’eternità,
Dante e Brunetto, fuoco & verità.
(Chi ascolta, la nota).
Dante e la trap: confronto tra il Canto XV e Fuoco & Fortuna
La relazione tra il testo originale e la mia versione trap è stretta e intenzionale. Ecco i punti chiave:
• L’incontro con Brunetto
Nel canto, Dante riconosce il maestro nonostante il volto bruciato. Nella versione trap, questa scena diventa un momento cinematografico, con immagini rapide e crude (“viso bruciato”, “mi prese per il lembo”), mantenendo la sorpresa e l’emozione dell’originale.
• Il tema del destino (“la stella”)
Brunetto predice a Dante un futuro glorioso ma ostacolato dall’invidia dei concittadini. Nel ritornello trap, questo diventa un mantra: “la mia stella brilla”, trasformando la profezia in autoaffermazione.
• La critica a Firenze
Dante parla del “popolo maligno” e delle “bestie fiesolane”. La versione trap riprende il concetto in chiave urbana: la città che volta le spalle, l’invidia che brucia, la lotta per emergere.
• Il rispetto filiale
Il canto è uno dei più affettuosi dell’Inferno. Nella canzone, Brunetto è “fratellaccio”, guida, voce che non si spegne: un modo contemporaneo per rendere la stessa reverenza.
• I dannati illustri
Dante elenca Prisciano, Francesco d’Accorso e altri. Nel bridge trap, questi nomi diventano un coro di intellettuali caduti, trasformati in un’immagine quasi da “crew infernale”.
• La corsa finale
Nel poema, Brunetto corre come un atleta veronese. Nella canzone, questa immagine diventa simbolo di dignità: “vince, non perde”.
In sintesi, Fuoco & Fortuna non è una parodia né una semplice modernizzazione: è una trasposizione fedele nei temi, ma reinventata nel linguaggio, nel ritmo e nell’immaginario.
