Il Canto I dell’Inferno: smarrimento, crisi e inizio del viaggio
Il Canto I dell’Inferno è la vera porta d’ingresso della Divina Commedia, anche se tecnicamente non siamo ancora nell’Inferno vero e proprio. Dante apre il poema con una delle immagini più celebri della letteratura mondiale: la selva oscura, simbolo dello smarrimento morale, spirituale ed esistenziale dell’uomo.
Dante si trova “nel mezzo del cammin di nostra vita”, quindi intorno ai 35 anni, età simbolica della maturità. È una crisi profonda: ha perso la “diritta via”, cioè l’equilibrio tra ragione, fede e azione. La selva non è solo un luogo fisico, ma rappresenta il caos interiore, la paura, il peccato, la confusione tipica di chi si sente fuori strada nella propria vita.
Nel tentativo di uscire dalla valle oscura, Dante incontra tre fiere:
- la lonza (lussuria / inganno),
- il leone (superbia / violenza),
- la lupa (avarizia / brama insaziabile).
Queste non sono solo bestie, ma ostacoli morali che impediscono all’uomo di elevarsi. La lupa, in particolare, è la più pericolosa: rappresenta un desiderio che non si sazia mai e fa perdere ogni speranza.
Nel momento di massimo smarrimento appare Virgilio, poeta latino e simbolo della ragione umana. Sarà lui a guidare Dante attraverso Inferno e Purgatorio. Il Canto I, quindi, non racconta una punizione, ma l’inizio di un percorso di salvezza: per uscire dal buio bisogna prima attraversarlo, accompagnati da una guida.
Dal punto di vista storico e sociale, il canto riflette anche la crisi dell’Italia medievale, divisa, corrotta e dominata da interessi politici ed economici. La figura del Veltro, annunciata da Virgilio, rappresenta la speranza di un rinnovamento morale e civile.
📖 Testo Originale: Canto I
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo era sempre ’l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Queti parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista,
tal mi fece la bestia sanza pace,
che venendomi ’ncontro a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi agli occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me,» gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!»
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
al tempo de li dei falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia
poi che il superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?»
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro viaggio,»
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurìalo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde invidia prima dipartilla.
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno,
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò di me più degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che lassù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio;
oh felice colui cu’ ivi elegge!»
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch’io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color che tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
La versione trap
Dante nel presente: smarrimento urbano e linguaggio contemporaneo
La versione trap “Selva Scura – Primo canto” trasporta il viaggio dantesco nel presente, trasformando la selva medievale in una giungla urbana fatta di palazzi, luci artificiali, rumore e solitudine. Il protagonista non è più solo il poeta fiorentino, ma un ragazzo contemporaneo che si sente perso “fra i palazzi e le storie”.
Lo stile trap, con:
- autotune sognante,
- beat lento e cupo,
- vocalizzi e pause sospese,
riproduce perfettamente la sensazione di confusione mentale, ansia e stanchezza emotiva che Dante descrive nel testo originale. Il linguaggio è diretto, colloquiale, a tratti ironico e provocatorio, ma resta fedele ai nuclei simbolici del canto.
Le tre fiere diventano:
- tentazioni affascinanti ma ingannevoli,
- paure aggressive,
- desideri che “scavano come lame”.
Virgilio appare come una figura di guida fuori dal tempo, quasi un mentore, uno “che ne sa”, capace di indicare una strada alternativa quando tutto sembra perduto. Anche il riferimento al Veltro resta, reinterpretato come forza salvifica che non si nutre di soldi o potere, ma di valori autentici.
La trap non semplifica Dante: lo traduce emotivamente per un pubblico che vive altre forme di smarrimento, ma lo stesso bisogno di senso.
🎤 Testo Canzone: Selva Scura (Trap Track)
Nel mezzo del cammino… bro…
Mi son perso, fra i palazzi e le storie…
Una giungla di luci, una selva oscura…
Ah… ey…
Yeah… Nel mezzo del cammino, ho perso il senso (perso)
Tra mille strade, col cuore denso (ey)
La via diritta… non la trovo più (nah)
Solo vento addosso e discesa giù (skrrr)
Selva scura, via d’uscita non ce n’è (no)
Paura addosso, come una ferita (uh)
Aspra e forte — come notte in flebo
E il cuore batte — nostalgia (ah ‘ncàmmìa!)
Uh-uh, ey-eh… Ahhhhhh (trap delay)
Nel buio vedo mostri, non è fantasia…
Ero stanco, bro, dormivo in piedi
La vita pesa — e i sogni son ciechi
Poi vedo un colle, in fondo una luce
Ma il passato ancora mi conduce (skrr)
Una lonza leggera mi blocca la via (via)
Maculata, bella ma piena di bugia
Poi un leone — fame in testa (grrr)
L’aere trema — la paura resta
E la lupa magra, piena di brame
Mi guarda e mi scava come mille lame (ey)
Perdo speranza, sento il gelo addosso
Come chi aveva tutto — e ora è rovinato, grosso
Ohhh-oh, selva scura
Non portarmi via, non darmi paura
Fammi svegliare — salire — natura
Portami al sole — fammi partire
Poi all’improvviso, tra sabbia e silenzi (shhh)
Compare un’ombra, come nei racconti antichi
Dice: “non sono uomo, ma lo fui per davvero”
E parla piano, saggio, sincero
Virgilio… maestro d’altri tempi
Dice: “se vuoi scampare, alzati, e spingi!”
La bestia che temi non lascia passare
Solo col Veltro la puoi fermare
Né oro né argento la sazia, fra…
Solo chi ha amore, virtù… e volontà
“Seguimi”, dice, “ti porto lontano…”
“…dove piangono gli spiriti invano…”
Vedrai l’inferno e le sue porte,
le anime perse, le voci morte…
E chi nel fuoco ancora spera
che arrivi un’alba vera…
Ohhh-oh, selva scura
Tremava il cuore, tremava la cura
Ma ho visto l’uomo che scrisse il destino
E ora lo seguo — non sono più solo, fratellino
“E io li tenni retro…” (ahhhhh, skrrr skrrr…)
PAURA – PAURA – PAURA – PAURA – PAURA
CONTINUO IL VIAGGIO E VI DIRÒ!
Confronto tra Dante e la trap
Stesso viaggio, linguaggi diversi
| Dante – Canto I | Luigi’s Trap |
|---|---|
| Selva oscura | Giungla urbana, caos moderno |
| Smarrimento morale | Confusione emotiva e identitaria |
| Le tre fiere | Tentazioni, ego, desideri distruttivi |
| Perdita della speranza | “Perdo speranza, sento il gelo addosso” |
| Virgilio = ragione | Virgilio = guida / mentore |
| Veltro = salvezza futura | Valori autentici contro il vuoto |
| Viaggio spirituale | Percorso di crescita personale |
Entrambi i testi raccontano una crisi. Dante usa il linguaggio allegorico medievale, la trap usa slang, ritmo e suono. Ma il messaggio è lo stesso:
👉 da soli non si esce dalla selva.
Questo confronto può aiutare gli studenti a capire che Dante non parla di un Inferno lontano, ma di esperienze umane universali: paura, desiderio, errore, speranza. La trap diventa così uno strumento per entrare nel testo, non per sostituirlo.
In fondo, sia Dante che il rapper dicono la stessa cosa: per ritrovarsi, bisogna ammettere di essersi persi.
