Il rimbombo dell’onore perduto: contesto e temi del Canto XVI
Il Canto XVI dell’Inferno si colloca nel terzo girone del VII cerchio, dove sono puniti i violenti contro natura, costretti a correre senza sosta sotto una pioggia di fuoco. Dante e Virgilio incontrano tre figure illustri della Firenze del XIII secolo: Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Iacopo Rusticucci, uomini celebri per valore politico e militare, ma condannati per la loro vita considerata “contro natura”.
Il canto è profondamente segnato da due elementi:
- La nostalgia politica: Dante riconosce in questi tre spiriti l’antica nobiltà morale della Firenze che lui rimpiange, contrapposta alla città corrotta del suo presente.
- Il rimbombo dell’Acquacheta, che anticipa la scena successiva e crea un’atmosfera sonora cupa e minacciosa.
- Il tema dell’onore: i tre spiriti chiedono a Dante se Firenze conservi ancora cortesia e valore, segno di un legame affettivo e identitario fortissimo.
Il contesto storico è quello di una Firenze in pieno conflitto sociale, divisa tra Guelfi e Ghibellini, e poi ulteriormente fratturata tra Bianchi e Neri. Dante, esule, guarda a questi personaggi come simboli di una grandezza perduta.
Canto XVI (Testo Originale)
Già era in loco onde s’udìa ’l rimbombo
de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
simile a quel che l’arnie fanno rombo,
quando tre ombre insieme si partiro,
correndo, d’una torma che passava
sotto la pioggia de l’aspro martiro.
Venian ver noi, e ciascuna gridava:
«Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri
esser alcun di nostra terra prava».
Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri
ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.
A le lor grida il mio dottor s’attese;
volse ’l viso ver me, e: «Or aspetta»,
disse «a costor si vuole esser cortese.
E se non fosse il foco che saetta
la natura del loco, i’ dicerei
che meglio stesse a te che a lor la fretta».
Ricominciar, come noi restammo, ei
l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
fenno una rota di sé tutti e trei.
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
prima che sien tra lor battuti e punti,
così, rotando, ciascuno il visaggio
drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
faceva ai piè continuo viaggio.
E «Se miseria d’esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
cominciò l’uno «e ’l tinto aspetto e brollo,
la fama nostra il tuo animo pieghi
a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
così sicuro per lo ’nferno freghi.
Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
tutto che nudo e dipelato vada,
fu di grado maggior che tu non credi:
nepote fu de la buona Gualdrada;
Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
fece col senno assai e con la spada.
L’altro, ch’appresso me la rena trita,
è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
nel mondo sù dovrìa esser gradita.
E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo Rusticucci fui; e certo
la fiera moglie più qu’altro mi nuoce».
S’i’ fossi stato dal foco coperto,
gittato mi sarei tra lor di sotto,
e credo che ’l dottor l’avrìa sofferto;
ma perch’io mi sarei brusciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia
che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fisse,
tanta che tardi tutta si dispoglia,
tosto che questo mio segnor mi disse
parole per le quali i’ mi pensai
che qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono, e sempre mai
l’ovra di voi e li onorati nomi
con affezion ritrassi e ascoltai.
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi».
«Se lungamente l’anima conduca
le membra tue», rispuose quelli ancora,
«e se la fama tua dopo te luca,
cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sì come suole,
o se del tutto se n’è gita fora;
ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va là coi compagni,
assai ne cruccia con le sue parole».
«La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
Così gridai con la faccia levata;
e i tre, che ciò inteser per risposta,
guardar l’un l’altro com’al ver si guata.
«Se l’altre volte sì poco ti costa»,
rispuoser tutti «il satisfare altrui,
felice te se sì parli a tua posta!
Però, se campi d’esti luoghi bui
e torni a riveder le belle stelle,
quando ti gioverà dicere “I’ fui”,
fa che di noi a la gente favelle».
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
ali sembiar le gambe loro isnelle.
Un amen non saria potuto dirsi
tosto così com’e’ fuoro spariti;
per ch’al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
che per parlar saremmo a pena uditi.
Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ’n poc’ora avria l’orecchia offesa.
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
sì come ’l duca m’avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond’ei si volse inver’ lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell’alto burrato.
’E’ pur convien che novità risponda’
dicea fra me medesmo, ’al novo cenno
che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
presso a color che non veggion pur l’ovra,
ma per entro i pensier miran col senno!
El disse a me: «Tosto verrà di sovra
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna:
tosto convien ch’al tuo viso si scovra».
Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
però che sanza colpa fa vergogna;
ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
s’elle non sien di lunga grazia vòte,
ch’i’ vidi per quell’aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
che ’n sù si stende, e da piè si rattrappa.
Rimbombo d’Inferno: eco, denuncia e memoria
La mia versione trap di questo canto trasforma l’incontro dantesco in un brano dal tono cupo, introspettivo e urbano, mantenendo però la struttura narrativa originale. Il beat profondo e l’eco lontano dell’intro richiamano il rimbombo dell’Acquacheta, mentre il flow alterna:
- strofe narrative, che raccontano l’incontro con i tre spiriti come se fosse una scena vissuta in prima persona;
- ritornelli melodici e auto-tunati, che amplificano il senso di malinconia e denuncia sociale;
- intermezzi parlati, che evocano la presenza di Virgilio e il clima di tensione del viaggio infernale.
La lingua è contemporanea, diretta, con un uso calibrato di slang e immagini crude. Il tema centrale rimane la decadenza morale di Firenze, reinterpretata come una città moderna che ha perso i suoi valori sotto il peso del denaro e dell’ambizione.
Il brano non si limita a “modernizzare” Dante: lo traduce emotivamente, trasformando il dolore dei tre spiriti in un lamento urbano, quasi un coro di voci che risuonano nel buio.
Rimbombo d’inferno (Versione Trap)
Rimbombo nell’aria (come l’Acquacheta giù fra le rupi)
Pioggia di fuoco, brò, non è un film ma la verità
(Questo è l’Inferno frate…)
Tre ombre mi corrono incontro, e chiedono chi sono…
(Chi sei, fratè?)
Sotto ’sta pioggia che brucia la pelle,
vedo piaghe aperte, antiche, sorelle.
Tre guerrieri persi, sfregiati dal tempo,
volevano gloria, hanno perso il talento.
Guido Guerra, fratellaccio d’onore,
spada e senno, rispetto e dolore.
Tegghiaio, nome inciso nel vento,
ora la sabbia gli copre il tormento.
Rusticucci piange, “colpa d’amore”,
una fiera moglie, ora è fottuto nel cuore.
(È la fottuta Firenze che cambia, bro)
Rimbombo nell’inferno, sento l’eco del passato,
piove fuoco, frà, ma io resto incantato.
(Non è disprezzo, è dolore sincero)
Nel cerchio del fuoco, la memoria non muore,
ma Firenze piange i suoi fottuti valori.
(Ora la gloria è solo un nome nel vento…)
“Fratè, dimmi, là sopra c’è ancora onore?”
mi chiedono i tre sotto ’sto cielo che brucia il cuore.
Guiglielmo Borsiere lo dice, zio, con voce amara,
“Nuova gente, nuovi guadagni, è tutta una gara.”
Barolini direbbe che qui il tempo si piega, e la città si sfalda come cenere negra…
Firenze, città mia, sei fottuta d’orgoglio,
ti vendi al denaro, ti perdi nel soglio.
Le strade parlano, ma tu non le ascolti,
e i grandi del passato restano sepolti.
Sento l’acqua cadere, come l’Acquacheta giù,
la corda si scioglie, fratè, ma che vuoi che ne sappia tu?
(Chi capisce il segno, sa che qui non è un gioco)
Virgilio mi guarda, “sta’ calmo, fra’”,
ma dentro di me già tremo, già so come andrà.
Dal buio risale una figura,
(notando nell’aria, come un’anima pura)
E io che scrivo la mia “Comedìa” trap,
giuro, frate, ogni barra è verità che scappa.
La voce del fuoco, la cenere parla,
(Dio perdona, ma la memoria non salva)
Rimbombo d’inferno, Firenze nel pianto,
questo canto è trappato, ma il dolore è santo.
Confronto – Dal girone dei violenti al beat moderno: continuità e trasformazione
| Elemento | Canto originale | Mia versione trap | Relazione |
|---|---|---|---|
| Ambientazione sonora | Rimbombo dell’Acquacheta, pioggia di fuoco | Beat cupo, eco, rumori evocativi | La sonorità infernale diventa sound design urbano |
| I tre spiriti fiorentini | Presentati come nobili decaduti, segnati dal fuoco | Raccontati come “tre guerrieri persi”, figure epiche e ferite | Mantieni la loro dignità e la loro tragedia, ma con linguaggio contemporaneo |
| Critica a Firenze | “La gente nuova e i sùbiti guadagni…” | Firenze “fottuta d’orgoglio”, corrotta dal denaro | La denuncia sociale è tradotta in codice trap |
| Ruolo di Dante | Empatia, rispetto, dolore | Voce narrante che osserva, soffre e denuncia | La prospettiva resta fedele, ma assume un tono più emotivo e urbano |
| Simbolismo finale | Apparizione misteriosa che risale dal burrato | Figura che emerge dal buio come in un climax musicale | La tensione narrativa diventa tensione sonora |
La versione trap mantiene tutti i nuclei tematici del canto: l’onore, la memoria, la decadenza morale, il dolore per Firenze. Ciò che cambia è il codice espressivo, che trasforma la Commedia in un racconto musicale contemporaneo, capace di parlare a un pubblico moderno senza tradire l’essenza dantesca.
